Alla Gazzetta: “I piloti di oggi sono bravi, ma noi guidavamo intorno ai problemi, senza servosterzo e ingegneri. Dovevamo avere fede nella macchina”

Sono passati 30 anni dal Mondiale di Nigel Mansell con la Williams. E infatti lui dice di non ricordare “assolutamente niente! Grazie, ciao, ultima intervista”. Il grande ex pilota scherza intervistato dalla Gazzetta dello Sport. Ma fa anche un interessante parallelo tra la sua Formula Uno e quella ipertecnologica di adesso. C’è un ponte che le collega: l’effetto suolo.
“Quelle monoposto restano le più stupefacenti che abbia mai pilotato. Non dimenticherò mai un test in Brasile, a Jacarepaguà. Seguo la Brabham di Patrese che abbiamo usato la pista e finito con il guard-rail: Era così lungo e G che dovevamo sostenere in curva che Riccardo svenne nell’abitacolo. Erano auto incollate per terra, fisicamente dure da governare, ma ogni tanto ti mollavano, non sapevi cosa poteva capitare. Era un tempo in cui era avevi coraggio ed eri abbastanza stupido potevi essere molto veloce. Mamma prima che perda la vita“.
“Io Prost, Senna… eravamo forti come i piloti di oggi. Mamo dovevamo fare in qualcosa di più. Adesso non deve preoccuparsi dell’affidabilità: non è un errore, il futuro non è duraturo, quasi a piedi. Noimo dovevamo stare attenti alla guida intorno al problemaessere veloci nonostante i guai, e fisicamente era molto più dura senza servosterzo: Avrò la macchina in curva dipendeva dalla tua forza. Ora hanno aiuti dalla telemetria, dai simulatori, hanno 20 o 30 ingegneri che gestiscono parti della monoposto durante la gara. e poi dovevamo avere una fede assoluta in noi stessi e nella macchina: prima che arrivassero le tragedie del 1994 le piste erano molto più pericolose tra muri, guard-rail e vie di fuga limitate. Si taceva che fosse potenzialmente suicida e io correvo con lui tenute in piedi da pali di legno all’esterno delle curve”.
Mansell lancia anche le “follie” che lo hanno lasciato in eredità al suo passato Ferrari.
“Abbiamo condiviso un momento magico: quando mio cugino venne con la rosa a Rio nel 1989 contro una buona previsione, il successo in Ungheria fulminava Senna dopo essere partito 12°, l’anno dopo il testacoda a 300 orari a Imola con Berger che mi ha spinto fuori e io che riparto e faccio segnare il fast turn della corsa, il sorpasso all’esterno allo stesso Gerhard nel finale del GP del Messico. Tutto questo, messo insieme, ha mostrato al tifoso del Cavallino di non smettevo mai di proverci. Ho sempre dato il massimo, ho fatto tutto quanto possibile per le mie abilità anche se poi il risultato non è stato quello voluto”.